La mostra è la prima ricognizione storiografica dedicata a Miyamoto da un’istituzione pubblica europea. Il percorso espositivo si snoda tra il secondo e il terzo piano dello storico Palazzo Donnaregina, ripercorrendo le diverse fasi e i numerosi media attraverso cui si è sviluppata la pratica dell’artista dagli anni Settanta ai primi anni Duemila.
Miyamoto idealmente dialoga con la Collezione permanente del museo, in particolare – data l’amicale e linguistica contiguità tra i due artisti – con 10,000 Lines (2005) di Sol LeWitt (Hartford, 1928 – New York, 2007).
Ampio spazio è riservato alle string constructions, la sua più celebre serie di sculture di spago, rigorose e suggestive composizioni bi e tridimensionali iniziate nei primi anni Settanta. Attraverso un sistema di dense linee parallele fatte di un materiale estremamente leggero e modesto, queste opere si presentano come un effimero quanto efficace punto di contatto tra architettura e corpo, sollecitando la percezione a cogliere vibrazioni e imprecisioni. In questi lavori il linguaggio minimalista, sperimentato da Miyamoto in dialogo con LeWitt, di cui diviene assistente poco dopo il suo trasferimento a New York negli anni Sessanta, viene declinato in una forma che negli anni si fa man mano più tattile e irregolare, reagendo convintamente e gioiosamente a strutture a griglia e ritmi regolari. A partire da questa serie iniziale, la mostra racconta l’evoluzione della pratica e dei riferimenti a cui l’artista attinge nei decenni successivi: dai lavori grafici, ai disegni legati alle string constructions fino alle opere realizzate con direct print o fotocopia, che testimoniano l’attenzione alla dimensione effimera della scultura. Queste e altre opere dell’inizio degli anni Ottanta sorgono dall’osservazione e l’interazione con la street life di Downtown New York, dove l’artista vive e lavora fin dal suo arrivo negli Stati Uniti, e dove incontra e dialoga con artisti, poeti, musicisti: una scena vivace e impegnata, rievocata in mostra con vividi documenti visivi. Nelle performance, presentate al Madre attraverso video e fotografie d’archivio, l’attitudine sempre più evidente all’intreccio tra arte e vissuto si lega a un recupero della memoria della danza e della tradizione giapponesi, testimoniato anche dalla presenza di alcuni kimono d’artista realizzati dalla stessa Miyamoto. Completano il percorso alcune importanti installazioni degli anni Duemila.
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